Banche centrali e politica, BCE e Italia

Studiare il legame tra banche centrali e Stati è sempre molto interessante. Tale legame, infatti, si è evoluto seguendo un percorso che sembrava destinato a proseguire con linearità su precisi binari finchè non è scoppiata la crisi mettendo in discussione buona parte delle idee di fondo sulla relazione tra queste due entità.

Uno sguardo al legame tra banca centrale e Stato in Italia può chiarire un po’ le idee sull’argomento.

Prima dell’Unità d’Italia, quasi ogni Stato Preunitario aveva una propria moneta e una propria banca di emissione. Le banche di emissione stampavano moneta, ma erano in tutto simili alle altre banche. Esse avevano in più proprio la possibilità di stampare monete in base alle richieste e necessità dello Stato di appartenenza. Ecco il primo step evolutivo. Le banche centrali, usiamo questa terminologia anche se all’epoca, in Italia, non era ancora sviluppato il concetto di banca centrale come banca delle banche, erano direttamente collegate allo stato e la decisione di quanta moneta stampare era stabilita dallo stato. Lo stato stabiliva anche i tassi di interesse. In poche parole, la banca centrale era subordinata alla volontà dei Governi.

Il battere moneta era una della massime espressioni di potenza per uno Stato. Basti pensare che la Banca d’Italia nacque solo nel 1893, proprio perché dopo l’Unità ci furono resistenze regionali molto forti che impedirono la fusione delle previgenti banche di emissione in un’unica banca centrale, e che solo negli anni 20 del Novecento divenne l’unica banca nazionale a poter stampare moneta.

I primi due punti da tenere in considerazione sono, quindi, i seguenti: 1) la moneta come espressione di potere nazionale, e si può capire quanto sia stata importante la nascita dell’Euro visto che prima undici e adesso diciassette stati hanno deciso volontariamente di cedere questa forma di potere ad una istituzione sovranazionale; 2) la banca centrale soggetta allo stato-governo.

Mi soffermo sul punto 2. Il legame stato-banca centrale con il passare dei decenni ha subito una radicale trasformazione. Torniamo all’esempio italiano per spiegare meglio. Negli anni ’70 del XX secolo, con le crisi petrolifere, la crescita dell’inflazione e l’inizio del dissesto delle finanze pubbliche, si cominciò a capire che il legame tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro stava diventando un legame perverso. Infatti, lo Stato si indebitava sempre di più e costringeva la Banca d’Italia a comprare i titoli pubblici che non riusciva a vendere al pubblico. La Banca d’Italia finanziava direttamente lo stato italiano comprando i titoli pubblici, ed era costretta a farlo in forza di accordi cogenti. Per fare ciò doveva stampare moneta e, quindi, alimentava l’inflazione. (In economia vige il legame: + moneta = + inflazione).

Lo stretto legame tra Banca d’Italia e Ministero dell’Economia, con la subordinazione della prima al secondo, stava alimentando il debito pubblico e rendendo sempre meno responsabile il Governo italiano: poiché la Banca d’Italia era obbligata a comprare il debito non venduto sui mercati si poteva spendere e spandere quanto si voleva. Ci sarebbe sempre stato qualcuno (la Banca d’Italia) che avrebbe comprato tutti i titoli di Stato calmierando i tassi di interesse.

Questo legame, quando divenne lampante la sua perversità, fu interrotto nel 1981 con il famoso “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro. Veniva eliminato l’obbligo per l’istituto centrale di comprare i titoli di Stato. Gli autori principali di questo processo furono Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia, e Nino Andreatta, all’epoca Ministro del Tesoro. Questa operazione viene ancora oggi da alcuni contestata (basta fare una ricerca su “internet”). Costoro affermano che quel divorzio comportò l’aumento dei tassi di interesse e, quindi, un peggioramento delle finanze pubbliche. L’aumento dei tassi si verificò perché dovendo vendere i titoli pubblici sul mercato era necessario aumentare i tassi di interesse per attrarre gli investitori. Ma si arrivò a quel punto, cioè ad aumentare i tassi per piazzare i molti titoli pubblici, perché prima del divorzio il Governo aveva speso molto più del necessario sfruttando il supporto della Banca d’Italia. Quindi, come fanno i soliti stolti su internet che pensano di andare controcorrente criticando ciò che non conoscono, il problema del post divorzio è dovuto esclusivamente a ciò che si faceva prima del divorzio. È come se un uomo tradisse la propria moglie, la trattasse male e dopo il divorzio si lamentasse perché deve pagarle gli alimenti…se si fosse comportato bene prima avrebbe evitato le susseguenti complicazioni. Ecco, così ragiona chi critica quella operazione affermando che fu sbagliata.

Ma torniamo al racconto. Dopo il divorzio lo stato avrebbe dovuto vendere i titoli del debito pubblico direttamente sul mercato senza alcuna rete di protezione. Era un modo per responsabilizzare i Governi perché se volevano piazzare più debito sul mercato dovevano aumentare il tasso di interesse offerto e ciò avrebbe reso molto costosa l’operazione. Si creava una freno naturale alla brama di debito dei Governi. O almeno questo è quello che speravano Ciampi e Andreatta…non potevano prevedere quali sarebbero stati i ministri del Tesoro che sarebbero venuti dopo il 1981 e che poco sarebbe importato loro del futuro della Nazione.

Questo racconto sul divorzio ci serve per soffermarci sul tema dell’autonomia delle banche centrali.  Negli anni Novanta e nei primi anni del nuovo millennio molti economisti hanno studiato l’autonomia delle banche centrali e costruito solide teorie economiche basandosi su questo principio. L’autonomia, sia decisionale che gestionale, della banca centrale era diventata di fondamentale importanza per uno stato moderno. Più autonome e indipendenti erano le banche centrali e migliore era la politica monetaria e la stabilità del contesto economico. Soprattutto perché una Banca Centrale autonoma non avrebbe assecondato le voglie del governo.

Per questo motivo anche la BCE fu pensata come autonoma dalla sfera politica. È pur vero che è necessario l’accordo dei Governi per la nomina del Presidente, vedi il caso Draghi, ed esiste un controllo attraverso il Parlamento Europeo, ma l’Istituto ha piena autonomia decisionale e gestionale.

Il controllo politico esiste sempre, ma l’autonomia delle Banche Centrali è (era?) ormai una caratteristica consolidata nelle economie avanzate.

Questo è lo scenario presente all’inizio della crisi del 2007-20XX (ho usato un paio di X perché ancora non sappiamo quando avrà fine la crisi…).

Partendo da questo scenario osserviamo cosa è cambiato negli ultimi anni e come considerare il rapporto tra BCE e Italia all’interno della crisi e alla luce di ciò che è successo ad agosto 2011.

Negli ultimi anni si sta osservando un netto ritorno al passato. I politici, sempre più insistentemente, richiedono l’intervento delle banche centrali, le coinvolgono nelle scelte di politica economica e le obbligano a seguire strade che sono apertamente in contrasto con il principio dell’autonomia di cui abbiamo precedentemente discusso. Basti osservare gli interventi della Federal Reserve, che, per chi non lo sapesse, ha portato il suo attivo di bilancio da un valore di circa 870 miliardi di dollari l’8 agosto 2007 a oltre 2,2 triliardi a fine 2010 pur di salvare banche e aziende americane, comprando assets tossici in loro possesso o intervenendo direttamente diventandone azionista. Le stesse pressioni ci sono state nell’Area Euro nei confronti della BCE.

E’ bene tenere in considerazione una differenza sostanziale tra la Fed e la BCE. La Fed deve, per statuto, contribuire alla stabilità dell’inflazione e alla crescita economica generale, soprattutto a tenere basso il tasso di disoccupazione. La Bce, invece, ha come obiettivo primario la stabilità dell’inflazione, poi declinata nella famosa frase “below, but close to, 2 per cent” e ha come obiettivo secondario il partecipare al conseguimento degli obiettivi dell’Unione. Quindi, l’autonomia della BCE è maggiore rispetto alla Fed e i suoi obiettivi sono più limitati. In poche parole, la Bce deve occuparsi principalmente dei prezzi.

Leggiamo qualche articolo del PROTOCOLLO SULLO STATUTO DEL SISTEMA EUROPEO DI BANCHE CENTRALI (SEBC) E DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA. Questi articoli renderanno più chiara la cornice regolamentare all’interno di cui opera la BCE.

Così recita l’articolo 2: “Conformemente all’articolo 105, paragrafo 1, del trattato, l'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, esso sostiene le politiche economiche generali della Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'articolo 2 del trattato. Il SEBC agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un'efficace allocazione delle risorse, e rispettando i principi di cui all'articolo 4 del trattato.” (la sottolineatura l’ho aggiunta io).

(quando si fa riferimento agli articoli 105, 2 e 4 del trattato si richiama il Trattato che istituisce la Comunità Europea, di cui il Protocollo è un allegato).

Quindi, la BCE deve perseguire la stabilità dei prezzi, attraverso la politica monetaria, e in secondo ordine può contribuire al raggiungimento degli altri obiettivi della Comunità, rappresentati da una crescita economica sostenibile.

Importante è anche l’articolo 7, visto che ho precedentemente descritto l’aspetto chiave dell’autonomia. Ecco un estratto “[…]nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal trattato e dal presente statuto, né la BCE, né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti.”.

Credo che non sia necessaria alcuna spiegazione, né sia necessario richiamare tutte le volte che i Governi europei hanno chiamato in causa la BCE per chiedere di sostenere l’economia, aumentare-ridurre i tassi, sostenere gli Stati in difficoltà…ecc. ecc..

È molto utile riportare anche l’articolo 21, che esalta tutte le contraddizioni del periodo che stiamo vivendo: “Conformemente all'articolo 101 del trattato, è vietata la  concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle banche centrali nazionali, a istituzioni o agli organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.”. (la sottolineatura l’ho aggiunta io)

Cosa significa? Significa che la BCE non avrebbe potuto comprare i titoli Greci, Portoghesi, Irlandesi, Spagnoli e Italiani. Se lo ha fatto la motivazione è duplice. In primo luogo vi sono state pressioni politiche, in secondo luogo in BCE hanno capito che spettava loro il compito di salvaguardia dell’Euro e hanno deciso di intervenire per evitare il crollo di tutta l’Europa anche contravvenendo alle regole (ora capite perché i tedeschi sono così fortemente contrari ad ogni azione di questo tipo da parte della BCE). Questa regola, se ci fate caso, vieta espressamente quelle operazioni che in Italia erano permesse prima del divorzio del 1981.

Domanda al lettore: se vi chiedessero di fare operazioni che prima vi avevano espressamente vietato di compiere (i trattati furono scritti dai politici, non dai banchieri centrali…) non chiedereste qualche garanzia onde evitare di rimanere fregati a posteriori? Leggetela in questa ottica la lettera di “commissariamento” del governo Berlusconi, e tutto vi sembrerà più chiaro. Visto che gli Stati non hanno ottemperato ai loro doveri, hanno creato il caos e hanno cominciato ad utilizzare la Banca Centrale per risolvere i loro problemi, mi sembra plausibile che la Banca Centrale chieda al Governo di impegnarsi per evitare che la situazione peggiori.

Quindi, abbiamo visto come si è evoluto il legame tra Banche Centrali e Stati, abbiamo osservato che anche lo Statuto della BCE prevedeva totale autonomia della Banca Centrale dai poteri politici e leggendo alcuni articoli del Protocollo abbiamo capito come i politici si siano rimangiati le promesse e abbiano costretto la Bce a fare ciò che per Statuto le avevano vietato di fare. Data l’eccezionalità del periodo storico che stiamo vivendo, si sta assistendo ad un vero e proprio ritorno al passato. Le Banche Centrali sembrano uno strumento di azione degli stati. Agiscono per loro conto, per colmare le loro lacune.

L’Italia cosa ha fatto in questi anni? Grazie ai nostri lungimiranti governi non siamo riusciti in alcun modo ad abbattere il debito pubblico ed ora ci troviamo nell’occhio del ciclone, declassati, privi della fiducia internazionale.

Per evitare il peggio si è chiesto l’intervento della BCE e la BCE ha risposto positivamente, ma condizionando l’intervento ad azioni di contenimento della spesa pubblica. Ciò che non abbiamo fatto quando era opportuno fare e quando di poteva fare, cioè tagliare il deficit e ridurre il debito quando l’economia internazionale correva e i tassi di interesse erano bassi, siamo costretti a fare adesso, con l’economia internazionale nella bufera, l’economia italiana ferma e i tassi in salita. Indubbiamente una bella scelta strategica.

Però, se si vede in prospettiva l’attuale situazione, il commissariamento italiano non è un male. È pur vero che aumenteranno le tasse e l’economia rimarrà stagnante, ma, date le note qualità del popolo italiano, solo una batosta di queste proporzioni poteva convincerci ad invertire la rotta. Si è continuato a campare alla giornata finchè si è potuto. Ora la ricreazione è finita e bisogna agire duramente e in tempi brevi.

Ma tutto ciò ci sarà utile. Riporto le considerazioni sull’Italia della banca americana Citigroup riportate il giorno 22 settembre 2011 sul sito Yahoo Finanza: “L’aumento delle tasse però consentirà di ridurre il deficit all’1% del PIL nel 2013 e le attese sono per una stabilizzazione del rapporto deficit-PIl intorno al 120%, anche se difficilmente potrà calare oltre prima del 2014 con lo stallo di importanti privatizzazioni. La banca americana è convinta che l’Italia offra un’ottima opportunità di investimento per gli investitori coraggiosi, in vista di rendimenti attraenti che dovrebbero arrivare tra circa un anno. A rendere allettante il nostro Paese è la sua temporanea perdita di indipendenza dopo che la BCE ha iniziato da agosto ad acquistare titoli di Stato italiani, a fronte dell’impegno del Governo ad adottare misure concrete finalizzate a ridurre la spesa pubblica ed accrescere le entrate del Tesoro.” (la sottolineatura l’ho aggiunta io). Come si vede, il governo diventa credibile quando sono altri a dire cosa fare. Per questo motivo l’eterodirezione è vista positivamente.

Come si evolverà il legame tra BCE e stati europei è difficile da prevedere. La cooperazione non è mai un male assoluto, ma bisogna rispettare i patti. Si spera che dopo la crisi possa venir fuori una costruzione dell’Europa diversa, più pragmatica e anche più funzionale. Di certo la BCE deve poter parlare con un solo interlocutore credibile. Non può seguire gli umori di 17 stati, ognuno con problemi, sensibilità e politiche diverse.

L’Italia, dal canto suo, può superare i problemi in corso. Non ci si deve scoraggiare, bisogna stringere la cinghia e lavorare duramente. Ma se riusciremo nell’intento potranno aprirsi prospettive più rosee per il Paese.

Riassumendo con un proverbio, che spero sia beneaugurante: non tutti i mali vengono per nuocere.

Ps: in una prossima puntata mi soffermerò sugli errori delle Banche Centrali.

 

AF 23/09/2011

Vietata la riproduzione. Se vuoi citare scrivi: Antonio Forte, "Banche centrali e politica, BCE e Italia", http://antonioforte.xoom.it.

 

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