Qualche giorno fa, il 21 ottobre,
mi è capitato di osservare una tabella che riassumeva la performance
delle più importanti Borse mondiali pubblicata su Il Sole 24 Ore. .
Erano presentati i dati di 26 borse azionarie. Si esaminavano la
capitalizzazione e il numero di emittenti (cioè le società quotate).
Tra queste borse è stata esaminata anche Piazza Affari, la Borsa
italiana. La situazione è a dir poco drammatica e rispecchia in modo
evidente la sempre maggior marginalizzazione del nostro sistema
imprenditoriale.
Nel 2000 la borsa italiana per capitalizzazione rappresentava il
2.5% della capitalizzazione totale di queste 26 borse. Nel 2010,
valori al 30 giugno, il peso italiano era sceso ad un misero 1.2%.
Nel 2010, per rendere più chiara la situazione, il nostro peso è
inferiore a quello delle borse di Taiwan, di Johannesburg, della
borsa russa, di quella coreana, della borsa spagnola, australiana,
brasiliana e di quella di Bombay.
La variazione della capitalizzazione di borsa, tra 2000 e 2010, è
stata in Italia la peggiore delle 26 borse rappresentate, ad
eccezione della borsa greca. Altro dato interessante è il rapporto
tra capitalizzazione di borsa e pil. Più elevato è tale rapporto,
maggiore è il ruolo delle piazze azionarie all’interno dell’economia
nazionale. Inoltre, se la borsa è un buon attrattore di imprese, la
capitalizzazione può essere maggiore rispetto al pil. In Italia la
capitalizzazione è pari al 25.4% del pil. Peggio di noi solo la
Grecia. Qualche paragone può essere utile: in Spagna la
capitalizzazione della borsa è quasi pari all’80% del pil; in
Brasile supera il 70%; alcune borse riescono ad attrarre molte
imprese e capitali e superano il valore del pil nazionale: è il caso
di Taiwan (158%), di Singapore (180%), di Toronto (123%), della
Russia (140%), della Svizzera (220%).
Ultimo dato sconsolante riguarda il numero di società quotate. Erano
291 a fine 2000 in Italia, sono 290 al 30 giugno 2010.
Sostanzialmente stabili. In questo caso siamo in buona compagnia,
cioè in molte altre borse il numero di società quotate si è ridotto.
Ma rimane in molti casi un gap che lascia sbalorditi. In Brasile
sono quotate 365 società, a Varsavia 505, a Singapore 460, a Taiwan
741, a Johannesburg 351, a Shanghai 879.
Questi dati portano ad alcune conclusioni: le aziende italiane non
sfruttano il mercato finanziario per aver accesso a nuovi fondi
perché preferiscono altri canali di finanziamento, in primis la
relazione con la banca; il sottodimensionamento della borsa italiana
è legato in parte alla struttura produttiva italiana incentrata
sulle piccole e medie imprese, che data la loro dimensione non hanno
la necessità di quotarsi, ma non è una scusa che tenga se ci si
confronta con economie più arretrate della nostra; anche in questo
campo mostriamo di avere un’ottica arretrata, si preferisce la
tradizionale relazione con la banca invece di tentare nuove vie che
potrebbero anche rivelarsi uno stimolo importante per la crescita
dimensionale e per una maggior responsabilizzazione degli organi
aziendali.
In breve: da un lato le imprese italiane evitano di quotarsi per
evitare controlli, concorrenza e trasparenza, dall’altro lato non vi
è stata mai una volontà politica di spingere le società italiane a
quotarsi...si doveva preservare il ruolo della banca nel sistema
italiano. La lobby bancaria continua a vincere.
AF 04/11/2010
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citare scrivi: Antonio Forte, "L'inutilità della Borsa italiana", http://antonioforte.xoom.it.
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