E se usassero (le banche centrali) il coefficiente di riserva obbligatoria invece dei tassi?

Come avevo anticipato, le banche centrali si trovano in una situazione complicata. Esse sono state ormai catturate a livello macroeconomico. Il problema di fondo è questo: da un lato la ripresa economica non è ancora robusta, in alcune aree è modesta, ed è drogata negli Stati Uniti dagli interventi della Fed. Ciò indurrebbe le banche centrali a tenere ancora bassi i tassi di interesse; dall’altro lato i tassi di inflazione cominciano a salire a causa del rincaro dei prezzi delle materie prime alimentari ed energetiche. E ciò dovrebbe indurre le banche centrali ad incrementare i tassi di interesse per tenere a bada l’inflazione. Quale delle due tendenze si deve seguire?

La situazione non è affatto facile. Nell’Area Euro il tasso di inflazione è previsto sopra il 2% già nei primi mesi del 2011 (non ci sono ancora i dati definitivi) e persino la Germania ha un tasso di pre-allerta (1.9%). In altre situazioni la BCE non solo avrebbe cominciato a tuonare contro i rischi di inflazione, cosa che sta facendo già adesso, ma avrebbe già avviato un piccola stretta monetaria. Invece, il tasso di riferimento rimane fermo all’1% nonostante l’inflazione abbia superato l’obiettivo del 2% e nel medio termine si prospetta una ulteriore crescita dell’indicatore.

In Gran Bretagna il tasso di inflazione è ormai al 4% e anche lì il tasso di inflazione obiettivo dovrebbe essere il 2%. Ma sui tassi nulla si muove.

Negli Stati Uniti il tasso di inflazione si mantiene più basso rispetto all’Europa e, inoltre, la Fed è sempre stata focalizzata sul tasso “core”, quello depurato dagli effetti dei prodotti alimentari ed energetici. In questo modo la Fed depura l’inflazione dalle componenti più variabili, appunto alimenti ed energia, e si focalizza su un indicatore più ristretto. Da un lato si può supportare questa idea, perché quel tasso ristretto è più facilmente controllabile da parte della banca centrale, ma dall’altro lato i consumatori devono fronteggiare il tasso globale di inflazione. Per ora, comunque, negli USA sembrano esservi meno pericoli di accelerazione dei prezzi, anche se i prossimi mesi saranno difficili a causa dell’ondata di aumenti dei prezzi che dovrebbe arrivare anche lì. La Fed, però, continua a mantenere tassi prossimi allo 0%.

Nelle economie emergenti, invece, le inflazioni sono ancora strutturalmente più elevate. In Argentina in molti affermano che il tasso ufficiale di inflazione (7,7% media 2010) sia tenuto artificialmente basso dal Governo, mentre nella realtà sia molto più alto (circa il 30%). Anche in Brasile abbiamo tassi di inflazione più elevati (circa il 6%) rispetto a Europa e Stati Uniti, ma almeno in Brasile c’è una robusta crescita economica. In Cina, infine, il tasso di inflazione ha ormai raggiunto il 5% ed è fonte di preoccupazione per le autorità politiche. Probabilmente anche in Cina il tasso di inflazione è tenuto artificialmente basso con “trucchi” politici e statistici, ma è proprio dalla Cina che, a mio parere, dovremmo prendere esempio.

Infatti, le autorità politico-monetarie cinesi stanno agendo su un duplice fronte al fine di contenere le spinte dei prezzi. Da un lato stanno ripetutamente incrementando i tassi di interesse. Ma a questa manovra stanno affiancando anche l’incremento della riserva obbligatoria. Questo strumento di politica monetaria è stato ormai abbandonato dalle banche centrali dei Paesi più evoluti, ma forse sarebbe ora di riattivarlo, soprattutto nell’Area Euro.

Il coefficiente di riserva obbligatoria indica la percentuale che le banche devono tenere immobilizzata nel corso del periodo di mantenimento (di solito un mese) ed è rapportata ai depositi custoditi dalla banca (attualmente la BCE lo ha stabilito pari al 2%). Più alto è il coefficiente di riserva obbligatoria più risorse le banche devono tenere parcheggiate e meno ne possono iniettare nel sistema economico. In Cina, proprio per raffreddare la crescita spropositata dei crediti, la banca centrale ha incrementato più volte questo coefficiente per limitare l’afflusso di risorse al sistema produttivo in modo tale da rallentare la crescita economica e i prezzi. Nei Paesi sviluppati utilizzare il coefficiente di riserva obbligatoria come strumento attivo di politica monetaria è ormai considerato desueto. Invece, potrebbe essere utile in questo scenario, soprattutto nell’Area dell’Euro dove i crediti stanno ritornando a crescere con un buon ritmo.

Se le banche centrali incrementassero il livello dei tassi andrebbero ad incidere sul livello di investimenti preventivato dalle imprese, sul livello di credito al consumo, sulle rate dei mutui a tasso variabile con un indubbio effetto di rallentamento dell’economia. L’utilizzo del coefficiente di riserva obbligatoria potrebbe, invece, avere effetti meno marcati, lanciare comunque un segnale e ottenere qualche risultato. Infatti, non avrebbe effetto sui prestiti in corso e, quindi, ad esempio, lascerebbe immutate le rate dei mutui. Non agirebbe sulle intenzioni di investimento e spesa delle famiglie, visto che il tasso di interesse reale non cambierebbe. L’effetto sarebbe quello di rendere meno ampio l’ammontare di risorse che le banche potrebbero mettere a disposizione del pubblico e ciò le indurrebbe a selezionare i prenditori con maggiore qualità, incrementando anche l’affidabilità totale dei prestiti.

Potrebbe rivelarsi una mossa giusta per continuare a ritardare nel tempo l’azione diretta sui tassi di interesse e continuare a stimolare l’economia senza esagerare.

È una opzione che spero i banchieri centrali prendano in considerazione, vista la particolarità della situazione. In casi particolari, come quello che stiamo vivendo, anche riattivare strumenti desueti potrebbe essere utile al fine di rispondere ai problemi, sempre più complessi, che la realtà economica sta ponendo alle autorità monetarie.

In situazioni estreme è bene considerare tutte le possibili risposte. Speriamo bene.

AF 27/02/2011   

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