Il debito è un po' più italiano

Articolo pubblicato su L'Indro

 

Il collocamento monstre del BTP Italia di inizio Novembre, oltre 22 miliardi di Euro, ha occupato ampi spazi sui quotidiani ed è stato oggetto di numerosi servizi giornalistici. L’attenzione rivolta a questa forma particolare di titolo di stato ha riacceso il dibattito sulla relazione tra emittente del debito pubblico, lo Stato italiano, e possessori dello stesso.

Infatti, se il debito pubblico è detenuto prevalentemente da soggetti stranieri e questi perdono fiducia nei confronti dell’emittente del debito tale legame può diventare altamente pericoloso. Il corso dei titoli di stato potrebbe flettere in modo accentuato a causa del disinvestimento dei possessori stranieri.

A livello globale vi sono due situazioni che si situano agli antipodi: il debito pubblico degli Stati Uniti è in larga misura in mano straniera, la Cina ne detiene circa 2 mila miliardi su 17 mila, e ciò se da un lato ha permesso agli USA di ricevere enormi flussi di denaro dall’altro gli ha esposti a possibili ricatti da parte dei detentori stranieri; il debito pubblico giapponese è, invece, quasi completamente in mani domestiche e ciò rende molto stabile i tassi di interesse giapponesi anche in presenza di un elevatissimo debito pubblico, visto che gli investitori giapponesi sono molto più affidabili e hanno un’ottica di più lungo periodo rispetto ad eventuali acquirenti stranieri.

Quel è la situazione italiana? Il grafico 1 ci fornisce un’idea di quanto debito pubblico italiano è in mani straniere. Nel grafico, elaborato su dati della Banca d’Italia, è rappresentata la quota del debito detenuta da non residenti, cioè da cittadini e istituzioni non italiane. Il grafico rappresenta volutamente un periodo di tempo molto esteso, da fine 1988 a luglio 2013.

Si nota un trend crescente di lungo periodo, interrotto solo nel 2001-2002. A fine anni Ottanta la quota del debito italiano detenuta da non residenti oscillava intorno al 5%, valori molto bassi. A quell’epoca, quindi, il debito era prevalentemente in mani italiane. Con l’apertura dei mercati finanziari, e la susseguente possibilità di spostare capitali, con la creazione del mercato unico europeo e con la crescita costante dell’ammontare del debito, gli investitori stranieri hanno cominciato a comprare quote crescenti del debito pubblico italiano. Questa quota è andata crescendo fino a superare il 40% nel 2005 e rimanendo sopra questa soglia fino al 2011. L’andamento crescente ha subito una netta inversione a metà 2011. In concomitanza con la crescita delle tensioni politiche e con il diffondersi della crisi del debito europea, la quota del debito italiano detenuta dagli stranieri ha cominciato a ridursi. Per dieci mesi consecutivi, da luglio 2011 ad aprile 2012, vi è stata una contrazione e la quota si è poi stabilizzata al 35%, valore da cui non si discosta da ormai 17 mesi.

  

Figura 1: Quota del debito italiano detenuta da non residenti

Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia.

 

Da questi dati deduciamo che nel periodo più acuto della crisi il crollo dei titoli di stato italiani era dovuto soprattutto alle vendite effettuate dagli investitori stranieri. Ciò ha reso instabili le quotazioni dei titoli di stato e ha reso famoso lo spread.

È possibile effettuare un ulteriore approfondimento, per cercare di capire chi ha venduto a larghe mani i titoli di stato italiani in quel periodo tanto difficile per la stabilità della finanza e dell’economia in Italia. I dati della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) ci offrono uno spaccato della situazione per quel che riguarda i sistemi bancari. Infatti, la BRI pubblica dati trimestrali della esposizione dei maggiori sistemi bancari verso alcuni Stati. A titolo di esempio, questi dati permettono di scoprire se le banche francesi sono più esposte di quelle tedesche verso la Grecia. Utilizzando questi dati, si può capire se un sistema bancario straniero ha venduto i titoli di stato italiani e in quale periodo ciò è avvenuto. La voce da analizzare è quella relativa all’esposizione vero il «Public sector». Nella tabella 1 sono visualizzati questi dati, riferiti sia all’esposizione di tutti i 24 sistemi bancari censiti dalla BRI, sia a quella delle sole banche europee e non europee o a quella dei singoli sistemi bancari. Focalizzandosi solo sui dati di maggior rilievo, si nota una drastica riduzione dell’esposizione delle banche internazionali verso il settore pubblico italiano nella seconda metà del 2011. Nei mesi in cui il Governo presieduto dal primo ministro Silvio Berlusconi traballava, le banche internazionali ridussero di quasi 65 miliardi l’esposizione verso il settore pubblico italiano, cioè si disfecero di BOT e BTP. Ben l’80 per cento di questa riduzione fu imputabile alle banche europee. E tra le banche europee, le più attive nel ridurre l’esposizione verso il settore pubblico italiano furono quelle francesi che nel secondo semestre 2011 ridussero di ben 22 miliardi di euro la loro esposizione verso il rischio sovrano italiano. Le banche tedesche, di solito accusate di aver fatto crollare i titoli di stato italiani, vengono parzialmente assolte da questi dati della BRI. La loro esposizione, infatti, rimase stabile nel secondo semestre del 2011, anche se si era ridotta di oltre 5 miliardi nel primo semestre. Molto attive nel periodo di maggior rischio per la stabilità finanziaria italiana furono le banche giapponesi, inglesi e belghe che nel secondo semestre del 2011 ridussero rispettivamente di 6,3, 5,5 e 5,5 miliardi l’esposizione verso il settore pubblico italiano. Imponente la riduzione operata dal settore bancario belga che in soli sei mesi riuscì a dimezzare l’esposizione sui titoli italiani.

A partire da fine 2011 si è assistito prima ad una stabilizzazione e poi ad una graduale ripresa del valore dei titoli pubblici nei portafogli delle banche estere. Le banche fuori dall’Europa sono tornate a detenere titoli italiani per un valore simile a quello della metà dell’anno 2011, mentre ancora al di sotto dei valori massimi sono le banche europee.

In estrema sintesi, dai dati della BRI si nota che la crisi di fiducia verso l’Italia e il conseguente calo dei titoli di stato fu più legato a timori e reazioni provenienti dall’interno dell’area Euro che esterni ad essa. E ciò è particolarmente significativo perché significa che vi era mancanza di fiducia tra Paesi che adottano la stessa moneta.

      

Tabella 1: Esposizione dei sistemi bancari stranieri verso il settore pubblico italiano

milioni di Euro

dic-10

giu-11

dic-11

giu-12

dic-12

giu-13

Banche 24 Paesi**

195799

199793

134754

139201

150114

166580

Banche Europee*

165077

164203

112304

106647

114790

130691

Banche non europee

30721

35591

22450

32554

35324

35888

Belgio

12793

11095

5515

4804

4939

4942

Francia

73015

73870

51138

46716

55818

68066

Germania

38296

32951

32353

30774

31157

32093

Giappone

21434

21369

15074

19334

19323

17074

Spagna

7081

7731

6597

7017

6383

9409

Svizzera

3405

3958

2394

4871

3204

3254

UK

8604

12060

6527

4966

5152

3682

USA

8199

8939

6588

11002

12982

15391

* in Banche Europee rientrano i sistemi bancari di Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Olanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Gran Bretagna.

** in Banche 24 Paesi rientrano le banche europee più le banche di: Australia, Canada, Cile, Taipei, India, Giappone, Singapore e Stati Uniti.

Fonte: elaborazione su dati della Banca dei Regolamenti Internazionali

 

Infine, con la figura 2, si rende merito al sistema bancario italiano. Pur non potendo nascondere i limiti delle banche italiane, e infatti negli ultimi mesi si stanno susseguendo crisi bancarie e interventi della vigilanza come non si vedeva da tempo, è bene sottolineare che nel periodo di maggior fibrillazione finanziaria il loro contributo è stato determinante. Esse, come si evince dal grafico, hanno stabilizzato le quotazioni dei titoli di stato italiani acquistandone una quantità enorme in un tempo ristretto e hanno così mitigato gli effetti negativi della tempesta finanziaria che stava flagellando l’Italia. I dati mostrati nella figura sono impressionanti. Nel primo periodo della crisi europea, dopo la crisi greca e irlandese, i titoli di stato italiani nel portafoglio delle banche nostrane erano aumentati da 100 miliardi a fine 2008 agli oltre 200 di fine 2011. Da quel momento, anche sfruttando i prestiti a basso interesse e a lungo termine concessi dalla BCE (Banca Centrale Europea) l’ammontare dei titoli di stato nel portafoglio delle banche è ulteriormente raddoppiato toccando i 401 miliardi a giugno 2013.

È pur vero che sono piovute molte critiche su questo atteggiamento che potremmo definire opportunistico (utilizzare i fondi ottenuti dalla BCE per comprare i titoli di stato invece che finanziare imprese e famiglie), ma bisogna sottolineare che senza questo intervento probabilmente lo spread sarebbe salito ancora di più con le ovvie conseguenze sulla stabilità finanziaria dell’Italia.

L’analisi ha, quindi, fornito uno spaccato della situazione: la crisi di fiducia verso l’Italia ha comportato una riduzione della quota di titoli detenuta dagli stranieri; questa riduzione è stata fortemente influenzata dal comportamento delle banche europee, in modo particolare dalle banche francesi; le banche italiane sono corse in aiuto dei titoli di stato acquistandone una grande quantità e ciò ha ridotto i corsi ribassisti dei titoli di stato.

 

Figura 2: Banche italiane, titoli di Stato italiani in portafoglio

Fonte: Elaborazione su dati della Banca d’Italia

  

Gli ultimi dati disponibili mostrano un lento ritorno alla normalità, con una rinnovata attenzione degli investitori esteri verso l’Italia e con prime graduali riduzioni dell’esposizione della banche italiane verso il rischio sovrano italiano. Le banche italiane devono proseguire su questa strada. Cominciare a ridurre l’esposizione verso il debito pubblico, e in alcuni casi questo processo sarà dettato direttamente dalla vigilanza europea e nazionale, e riprendere in contemporanea l’erogazione di prestiti verso famiglie e imprese. Tale cambiamento sarà probabilmente molto graduale, ma non vi sono altre opzioni per allentare il legame tra fiducia verso lo Stato e fiducia verso il settore bancario, legame che può rivelarsi pericoloso in caso di nuove ondate di sfiducia verso l’Italia, e per favorire la ripresa dell’economia italiana.

 

AF 25/11/2013

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