La crisi (4)

È da un po’ di tempo che non scrivo qualche riflessione sulla crisi. Questa è la quarta puntata della saga e propongo un bel riassunto di ciò che è avvenuto negli ultimi anni oltre che parlare dell’attualità. Bisogna avere un po’ di pazienza, ma era impossibile essere più concisi. Potreste leggerlo a puntate...

La storia

Nella prima metà del 2007 cominciarono a circolare dubbi sulla tenuta del mercato immobiliare degli Stati Uniti. Era cominciato un lento declino nel valore delle abitazioni. Ciò avrebbe bloccato uno dei motori della crescita economica americana. Un rallentamento del mercato immobiliare avrebbe creato i seguenti problemi: in primo luogo sarebbero diminuiti gli investimenti in nuove abitazioni e ciò avrebbe avuto effetto diretto sulla crescita economica; se la crescita dei prezzi degli immobili si fosse fermata ciò avrebbe ridotto l’incremento di ricchezza dei cittadini: molti americani, sfruttando la crescita dei valori degli immobili, riuscivano ad ottenere prestiti dalle banche ipotecando il valore aggiuntivo delle abitazioni (una proposta ventilata anche in Italia da Tremonti, quando era il re della finanza creativa, poi si è fintamente ravveduto). In pratica gli americani davano in garanzia la casa, che cresceva di valore, e ottenevano nuovi prestiti per poter effettuare altri consumi. Così si alimentava la crescita economica. Bloccata la crescita dei prezzi delle case si è bloccata la crescita dei consumi. Altro effetto negativo: se lo stop del mercato immobiliare si fosse trasmesso all’intera economia, molte persone con lavori precari che avevano ottenuto il mutuo per la casa, anche non essendo particolarmente affidabili (i famosi mutui sub-prime), avrebbero cominciato a non pagare le rate dei mutui mettendo in difficoltà le banche.

Tutto ciò è puntualmente accaduto. La scintilla che ha dato avvio a tutto il processo è stato l’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. Dopo aver tenuto i tassi bassi a lungo, dopo aver favorito la diffusione dei mutui subprime, dopo esser stata inerte davanti alle varie bolle, la banca centrale americana ha pensato bene di aumentare i tassi di interesse. Ciò ha reso più oneroso indebitarsi, fermando il mercato dei mutui e delle abitazioni, e ha reso insostenibile il pagamento delle rate dei mutui a tasso variabile per quelle famiglie con basso merito creditizio che erano state spinte a comprare casa da banche compiacenti.

Da qui è nato tutto. Poi, quella che sembrava una crisi limitata al mondo immobiliare americano e in particolare ai mutui più problematici, si è trasformata in una crisi reale e globale. Perché?

I retroscena

Quando una banca concede un mutuo di solito, e noi italiani lo sappiamo bene, effettua una radiografia del soggetto affidato per capire se è una persona affidabile o meno. Questo esame viene fatto all’inizio (screening) e nel corso del tempo (monitoring). Questa attività bancaria negli Stati Uniti non esisteva più. Le banche concedevano mutui a tutti, in Italia diremmo “a cani e porci”, perché attraverso i titoli derivati riuscivano a trasferire il rischio a terze parti. In breve, le banche potevano impacchettare i mutui buoni e i mutui cattivi e venderli sotto forma di titoli. In questo modo era inutile osservare e monitorare i clienti. Il rischio veniva ceduto attraverso la vendita di questi titoli. La banca, grazie ai titoli derivati, poteva concedere prestiti a tutti poiché il rischio non era lei stessa a sopportarlo. Ecco l’anello fondamentale. Perché è successo? Perché chi doveva vigilare, la Federal Reserve, non ha vigilato. Questi titoli derivati, poi, riuscivano ad ottenere voti altissimi dalle agenzie di rating, che ne certificavano la solidità. Di conseguenza molte altre banche e istituzioni nel mondo decidevano di acquistarli. Erano titoli “sicuri”, basati sul “favoloso” mercato immobiliare americano...chi non li avrebbe comprati. In questo modo, il rischio insito nei mutui si è diffuso in tutto il mondo.

La crisi di fiducia e le banche centrali

Il primo vero sintomo che qualcosa di grosso stava accadendo si è verificato ad agosto 2007. Ricordo che era inizio agosto, ero seduto sulla poltrona e faceva molto caldo. In tv e alla radio si sentì la notizia che la Banca Centrale Europea aveva deciso di effettuare un’asta straordinaria per rifornire di liquidità le banche. Perché? Sembrava assurdo. Tutti avevano rassicurato l’opinione pubblica sulla non pericolosità della crisi subprime. Perché un intervento straordinario? Ed era importante che lo avesse fatto una banca centrale molto radicale e contraria ad immettere troppa liquidità nel sistema. In pratica, alla BCE, si erano accorti che il mercato interbancario europeo non stava più funzionando. Cerco di spiegare: la BCE effettua ogni settimana un’asta e le banche che vi partecipano prendono soldi in prestito. Dopo due settimane le banche devono restituire quelle somme maggiorate di un interesse. Fino ad agosto 2007 era sempre stato così. Perché allora la BCE aveva deciso di effettuare un’asta straordinaria, non prevista, aggiuntiva rispetto a quella settimanale? Perché era in corso una crisi di fiducia tra le banche. Una volta che le banche prendono i soldi dalla BCE, nel corso dei giorni possono aver bisogno di una quantità maggiore o minore di quei soldi. Succede così che una banca che ha preso in prestito 100 euro (esempio) abbia bisogno un giorno di 105 euro. Dove trova i 5 euro aggiuntivi? Si rivolge alle altre banche. Potrebbe esserci una banca che ha preso 80 euro dalla BCE ma che in quello stesso giorno abbia bisogno di soli 75 euro. Si trova ad avere 5 euro in più. Chiede se qualcuno li vuole. In questo modo le banche si scambiano i fondi. È questo il mercato interbancario. È facile intuire che se io prendo a prestito al tasso del 3% dalla banca centrale (esempio) quando cedo a prestito parte della liquidità ad un’altra banca chiederò un po’ di più del 3%. E questo qualcosa in più cresce con il tempo. Infatti, un prestito con maggior durata è più rischioso di un prestito con minor durata. Se devo prestare 50 euro ad un amico e mi restituirà la somma il giorno dopo è probabile che non chieda interessi. Ma se presto 50 euro e me li restituisce dopo 5 anni, ci penso su e mi faccio dare un po’ di interessi. È esattamente ciò che accade tra le banche. Cosa stava accadendo in quei giorni? Le banche non si fidavano più l’una dell’altra, perché non si sapeva dove fossero i famosi titoli derivati legati al mercato immobiliare americano e, quindi, chi aveva denaro in più o non lo prestava ad altre banche oppure chiedeva interessi che erano più altri rispetto al normale.

Mettiamoci nei panni della banca che ha bisogno di fondi. Chiede se qualcuno vuole prestare fondi e si trova davanti un mercato con pochi fondi (le altre banche non vogliono prestare) e con alti tassi di interesse. Poteva succedere che per problemi nel mercato interbancario una banca arrivasse a trovarsi a corto di liquidità. Se fosse accaduto, sarebbe stato possibile un effetto domino. Ancora meno liquidità in giro, tassi ancora più alti per ulteriore riduzione della reciproca fiducia, blocco del mercato e intero sistema bancario europeo in difficoltà. Fortunatamente la BCE si accorse in tempo del pericolo e intervenne. Se le banche non riuscivano a prestarsi denaro fra loro, avrebbe prestato lei tutto il denaro necessario.

Grazie a questo intervento si è evitata una crisi dell’intero sistema bancario. La stessa operazione è stata effettuata dalle altre banche centrali per i loro mercati di riferimento.

Seconda fase

Nonostante questi interventi, l’economia americana aveva cominciato ad avvitarsi su se stessa. La paura serpeggiava nei mercati e le borse cominciarono a precipitare. Si era evitata una crisi di liquidità sistemica, ma la crisi di fiducia si stava aggravando. I titoli legati ai mutui subprime diventavano titoli spazzatura e chi li aveva comprati subiva ingenti perdite. Cominciò la caccia alle streghe: chi aveva più titoli spazzatura nel bilancio? La paura faceva vendere i titoli e i mercati finanziari cominciarono a registrare perdite anche a due cifre. I governi cercarono di mettere su delle reti di protezione e sembrava che si fosse riusciti a limitare gli effetti negativi.

Sembrava, perché il 15 settembre 2008 accadde l’imprevedibile. Nei mesi precedenti si era assistito a fenomeni ormai inusuali nel mondo moderno, come la corsa agli sportelli della banca inglese Northern Rock, ma nessuno aveva previsto che addirittura una delle più importanti banche d’affari americane potesse fallire. Di solito, prima dei fallimenti bancari, le banche centrali e i governi trovano una soluzione indolore. Ad esempio la banca in difficoltà viene venduta ad una banca più solida e si evita il fallimento. In quei giorni, i venerdì, sabato e domenica precedenti il 15 settembre, era un lunedì, la Fed e il Governo americano cercarono di trovare un salvagente per Lehman Brothers. Questa banca d’affari era ormai imprigionata da una crisi di liquidità trasformatasi in vera insolvenza e le autorità cercavano qualcuno disposto a comprarla. I negoziati con banche americane e europee fallirono miseramente la domenica sera. Lehman non poteva continuare l’attività e nessuno la voleva comprare. Il 15 settembre dichiarò fallimento. In quello stesso giorno fecero il giro del mondo le immagini dei dipendenti Lehman che uscivano con gli scatoloni dalla banca. La banca era fallita, non c’erano attività da svolgere e ognuno si portava via le proprie cose nei cartoni. Quello fu il colpo di grazia. La fiducia crollò, la paura si diffuse ai consumatori, le banche cominciarono ad essere eccessivamente prudenti nel concedere i prestiti e l’economia reale si fermò. Meno consumi, meno investimenti, fiducia insistente. L’economia entrò in stallo.

Terza fase

Essendosi trasformata in una crisi reale, i governi furono chiamati in causa. Da un lato cercarono di ristabilire la fiducia assicurando che nessun’altra banca sarebbe fallita e che i risparmi dei consumatori erano protetti. Dall’altro lato cominciarono a pensare a come far ripartire l’economia. Le banche centrali avevano abbassato i tassi di interesse, alcune volte anche nello stesso istante accordandosi in precedenza, avevano continuato a dare tutta la liquidità necessaria alle banche e pian piano avevano deciso di comprare direttamente i titoli sul mercato (le banche centrali hanno deciso di comprare titoli di stato e obbligazioni emesse dalle società per far arrivare ancora più direttamente la liquidità nei mercati reali). I governi diedero avvio ad una serie di interventi di stimolo: più spesa pubblica, più protezione sociale, più aiuti alle famiglie. Un intervento di proporzioni assolutamente eccezionali che ha permesso di evitare il tracollo definitivo. In circolo si è trovata una quantità di denaro mai vista prima.

Quarta fase

È andato tutto bene? No, perché i meccanismi non hanno funzionato come Banche Centrali e Governi si attendevano. Soprattutto le banche centrali si sono trovate in difficoltà. Hanno ridotto i tassi di interesse a livelli mai visti nella storia e hanno inondato le banche di liquidità. Queste azioni avevano un obiettivo preciso: far arrivare nuovi soldi alle imprese e alle famiglie facendo pagare rate bassissime, ridando vigore all’economia. Purtroppo però la liquidità non è finita a famiglie e imprese, ma ha alimentato due-tre bolle speculative ancora in atto (ne avevo già parlato e lo rifaccio adesso. Quando le banche centrali, i governi e i media se ne accorgeranno vedrete che accadrà qualche altro casino). Facciamo un esempio. Una banca americana può chiedere alla Fed denaro e pagare come interessi lo 0.25% annuo, praticamente niente. Questo denaro preso in prestito può investirlo senza alcun rischio, o quasi, in titoli di stato americani, europei, inglesi, australiani e guadagnare l’1, il 2, il 3%. Guadagno sicuro e certo. Oppure può comprare azioni. Sono crollate così tanto che i valori devono per forza salire. Oppure si può ricorrere alla buona vecchia speculazione e buttare un po’ di denaro sulle materie prime (anche quelle sono crollate e, quindi, è naturale che risaliranno). Moltiplicate questo atteggiamento per tutte le banche europee, americane, inglesi e giapponesi e troverete il perché delle tre bolle sulle azioni, sui titoli di stato e sulle materie prime. I corsi azionari hanno messo a segno una ripresa quasi eccezionale vista la condizione dell’economia globale, i titoli di stato hanno raggiunto ovunque quotazioni altissime, e ciò lo riscontrate dai bassi tassi di interesse che essi pagano (ricordate: se si comprano titoli di stato il loro valore sale e il tasso di interesse scende) e le materie prime stanno battendo tutti i record storici (a partire dall’oro). Ecco il problema: la liquidità le banche l’hanno destinata a questi acquisti sicuri e non l’hanno trasferita a famiglie e imprese. Secondo voi è più sicuro prendere soldi dalla banca centrale pagando un interesse dello 0,25% e investire quella somma in titoli di stato che mi fruttano il 2% oppure prestare ad una famiglia quella somma con il rischio che si perda il posto di lavoro e non si paghino rate e capitale? Questo fenomeno è ancora in corso.

Quinta fase

Mentre si pensava a come far arrivare i soldi a famiglie e imprese sono sorte due nuove questioni: i greci hanno pensato bene di rivelare trucchi contabili di ammontare spropositato e una nuova paura ha cominciato a serpeggiare nei mercati: gli stati hanno aiutato le banche a non fallire sobbarcandosi loro il rischio. Ma siamo sicuri che uno stato non possa fallire?

E allora la speculazione ha cominciato a colpire gli stati soprattutto in Europa, a causa della questione greca, degli alti debiti nazionali e di una inerzia delle istituzioni nell’agire. Abbiamo assistito così alla crisi greca, al suo soffertissimo salvataggio attraverso fondi europei, ma la paura non si è ancora placata. Se all’inizio della crisi i timori si manifestavano nell’aumento dei tassi di interesse che le banche richiedevano nel mercato interbancario, adesso l’aumento dei tassi di interesse riguarda i titoli pubblici dei paesi a rischio. Confrontando il tasso di interesse percepito acquistando un titolo tedesco con quello di un titolo greco, portoghese, irlandese, spagnolo o italiano, si osserva che la differenza si è pian piano dilatata. Più il paese è ritenuto rischioso più deve pagare interessi per vendere i titoli di stato. È sempre il solito meccanismo: se non sei affidabile mi devi dare tanti interessi. I paesi citati sono i famosi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Io considero anche l’Italia perché secondo me, purtroppo, prima o poi anche noi finiremo nell’occhio del ciclone (soprattutto se i politici continuano a pensare ad altro...). Questi timori sulla solidità dei Paesi non sono ancora risolti nonostante interventi politici, rassicurazioni e salvataggi. Speriamo bene (sono recenti i  declassamenti di Spagna e Irlanda, ritenute sempre meno affidabili).

Sesta fase

Però, se si escludono i paesi periferici, i mercati si sono pian piano normalizzati. Anzi, sembrava che la ripresa economica fosse avviata e che con un po’ di pazienza tutti i timori sarebbero stati fugati. Per questo motivo ha cominciato a diffondersi il dibattito sulla exit strategy. Cioè su come ridurre gli stimoli delle banche centrali e dei governi per permettere all’economia di camminare da sola. Il dubbio, ovviamente, era nella tempistica. Se si fosse tolta la stampella (gli aiuti pubblici) prima della calcificazione (una ripresa autonoma), il paziente (le economie) sarebbe caduto nuovamente (nuova recessione). Ma sarebbe anche deleterio lasciare il sostegno troppo a lungo. Il paziente potrebbe essere troppo viziato e non voler più camminare da solo.

La ripresa sembrava acquisita e il ritiro delle misure eccezionali era ormai dato per certo. Anche perché gli stati non possono continuare a sostenere deficit di bilancio eccessivi. Rischierebbero una crisi di debito. I primi ad avviare il ritiro degli stimoli sono stati i tedeschi, che hanno obbligato l’Europa a seguire la stessa strada. Molto più cauti gli americani.

Le ultime notizie sembrano far emergere una situazione particolare. Il cerino adesso è nelle mani delle banche centrali. Se gli stati ritirano gli stimoli e l’economia reagisce male devono essere le banche centrali ad intervenire. E infatti lo stanno già facendo.

Settima fase (e ultima per adesso)

Qualche settimana fa Ben Bernanke, presidente della Fed, ha spiegato l’attività della banca centrale da lui guidata. Ha detto pubblicamente che, poiché la liquidità immessa dalla Fed (ma il discorso è analogo anche in altre aree) non è arrivata a famiglie e imprese, come detto in precedenza, bisogna agire. Come? Le banche continuano a fare il solito giochetto: comprano denaro dalla Fed pagando interessi bassissimi e lo investono in titoli sicuri lucrando sulla differenza dei tassi d’interesse (pago alla Fed lo 0.25, mi pagano il 2% e ci guadagno). Per spezzare questo giochetto facile, ma perverso per l’economia perché priva imprese e famiglie della liquidità che dovrebbe arrivare nelle loro tasche, la Fed ha deciso di comprare titoli di stato e obbligazioni societarie per abbassare il loro rendimento. Se la Fed comincia a comprare (è il famoso quantitative easing) titoli di stato, il loro valore sale, ma il loro tasso scende. Così le banche investendo in titoli di stato non otterrebbero più il 2%, come nell’esempio precedente, ma l’1-1.5%. Le banche si troverebbero ad un bivio: continuare con il giochetto, che diventa meno vantaggioso, oppure assumersi un po’ di rischio e prestare il denaro al 4-5% a imprese e famiglie. Questo è l’obiettivo attuale delle banche centrali. Far diventare sconveniente per le banche l’investimento in titoli di stato e obbligazioni per far confluire la liquidità a famiglie e imprese.

C’è però un rischio. Se le banche cominciano a smobilizzare gli investimenti in titoli di stato, azioni e materie prime per dare soldi a famiglie e imprese, su quei tre mercati scoppieranno le tre bolle speculative di cui parlavo prima.

Detto in parole povere: bisogna stare attenti alla velocità di spostamento di questa benedetta liquidità. Se si spostasse troppo velocemente da un investimento ad un altro potrebbero nascere problemi. Proprio per questo è apprezzabile la BCE che ha già cominciato in sordina a ritirare una parte di quella liquidità. Ma se la ritira troppo in fretta rischia di bloccare nuovamente il mercato interbancario.

Come vedete, anche se c’è qualcuno che dice che tutto va bene, le autorità monetarie (le banche centrali) sono in una fase delicatissima della loro storia. Una qualunque azione avventata potrebbe provocare dissesti. Ci vuole molta cautela, sangue freddo e pazienza.

 

AF 06/10/2010   

INTERVENTI