Propongo la Nota integrale della
Santa Sede su finanza e sviluppo presentata nella seconda metà di
Novembre. Interessanti le riflessioni sulla crisi finanziaria e
l'evidenziazione di come questa crisi potrà influenzare le politiche
per lo sviluppo.
Buona lettura.
NOTA DELLA SANTA SEDE SU FINANZA E
SVILUPPO ALLA VIGILIA DELLA CONFERENZA PROMOSSA DALL'ASSEMBLEA
GENERALE DELLE NAZIONI UNITE A DOHA
Finanziamento e sviluppo
Importanza della Conferenza
1. La prossima conferenza internazionale su "Financing for
Development to review the Implementation of the Monterrey Consensus",
che si terrà a Doha dal 29 novembre al 2 dicembre 2008, rappresenta
il punto di arrivo di un processo di revisione, promosso
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e con il coinvolgimento
della società civile, dei contenuti e dell'attuazione del Documento
sul Finanziamento allo Sviluppo approvato nel 2002 a Monterrey - il
cosiddetto "Monterrey Consensus". Quel documento includeva sei
capitoli sulle grandi questioni essenziali per finanziare lo
sviluppo: la mobilitazione delle risorse interne; i flussi di
capitali privati; il commercio internazionale; gli aiuti pubblici
allo sviluppo; la questione del debito estero; ultima ma non meno
importante, la questione sistemica circa le modalità per dare forza
e coerenza al sistema monetario, finanziario e commerciale globale a
sostegno dello sviluppo. Secondo le procedure delle Nazioni Unite, i
lavori di revisione hanno portato, nel corso dei primi mesi del
2008, alla stesura di una bozza di un nuovo documento (il "Doha
Draft Outcome Document"), che viene via via discusso ed emendato,
con l'obiettivo di poter concludere la Conferenza di Doha con un
testo che raccolga il consenso di tutti i partecipanti.
A questo laborioso processo negoziale si è sovrapposto, negli ultimi
mesi, il precipitare della crisi finanziaria globale originatasi nel
mercato dei mutui subprime negli Stati Uniti. Nonostante la sua
lunga gestazione, all'inizio di settembre la crisi si è estesa fino
a coinvolgere nuovi comparti del sistema finanziario e a mettere in
difficoltà un numero crescente di Paesi, la cui situazione
finanziaria, in assenza dello shock esterno, non sembrava presentare
problemi di sostenibilità. Al rialzo dei prezzi agricoli ed
energetici verificatosi nei primi mesi del 2008, dunque, si è
aggiunta una crisi finanziaria per certi versi drammatica, con
conseguenze assai negative: soprattutto il tema del finanziamento
allo sviluppo rischia di essere messo in secondo piano.
2. In questa situazione, risulta indispensabile che i Governi e le
istituzioni finanziarie internazionali agiscano per contrastare il
diffondersi ulteriore dell'attuale crisi finanziaria: infatti, molti
Paesi hanno introdotto decisioni radicalmente opposte alla tendenza,
prevalente fino a un passato recente, di affidare il funzionamento
del mercato finanziario alla sua capacità di autoregolamentazione.
In sostanza, i Governi dei Paesi colpiti dalla crisi hanno adottato
una varietà di provvedimenti che comportano un massiccio ritorno del
settore pubblico in quegli stessi mercati finanziari che, negli
ultimi decenni, erano stati deregolamentati, privatizzati e
liberalizzati. Poiché un'azione politica di questa portata ha
maggiori probabilità di successo se i Paesi non procedono in ordine
sparso, ma se coordinano le loro iniziative, per il 15 novembre è
stato convocato d'urgenza un summit dei grandi Paesi: il cosiddetto
G-20, con la partecipazione di significativi Paesi emergenti. Dal
momento che il G-20 si è svolto due settimane prima della Conferenza
di Doha promossa dalle Nazioni Unite, i moltissimi Paesi che non
hanno partecipato al summit temono, non senza una qualche ragione,
che il primo evento, che ha coinvolto soltanto un gruppo ristretto
di Paesi ma ha attratto tutta l'attenzione dell'opinione pubblica
internazionale, possa privare di impatto politico la Conferenza di
Doha.
Ci sono dunque due grandi appuntamenti mondiali, molto ravvicinati,
con un oggetto simile - la finanza e la sua crisi, la finanza e lo
sviluppo - anche se caratterizzati da significati politici e
funzioni molto differenti. Entrambi gli incontri mantengono la loro
importanza.
L'auspicio di tutti è che comunque i Paesi che si sono riuniti a
Washington il 15 novembre tengano in debito conto la Conferenza di
Doha e ne favoriscano la buona riuscita. Essa ha, infatti, non
solamente lo scopo di giungere a un formale consenso
intergovernativo sui sei grandi temi già presenti nel "Monterrey
Consensus", ma anche quello di maturare progressivamente un comune
sentire, una valutazione condivisa su quelle che vengono
identificate come questioni emergenti in materia di finanza per lo
sviluppo.
Se è indispensabile far fronte, anche sul piano politico, alle
emergenze finanziarie che si presentano, è altrettanto importante
guardare con attenzione al quadro complessivo e alle connessioni fra
i problemi, non solo dal punto di vista dei Paesi economicamente
importanti, ma dentro una prospettiva tendenzialmente globale. Non
sempre la cosa più urgente è anche la più importante! Anzi,
riordinare le priorità è tanto più necessario quanto più la
situazione si è fatta difficile.
È indubbio che si è giunti all'emergenza finanziaria di oggi dopo un
lungo periodo nel quale, pressati dall'obiettivo immediato di
perseguire risultati finanziari a breve, si sono trascurate le
dimensioni proprie della finanza: la sua vera natura, infatti,
consiste nel favorire l'impiego delle risorse risparmiate là dove
esse favoriscono l'economia reale, il bene-essere, lo sviluppo di
tutto l'uomo e di tutti gli uomini (Paolo VI, Populorum progressio,
14). La Conferenza di Doha è dunque un'occasione che la comunità
internazionale non deve perdere per rimettere al centro questioni di
fondo importantissime per il bene comune dell'umanità: il
finanziamento allo sviluppo è una di queste.
Le grandi questioni sollevate dal "Draft Document"
3. In riferimento al "Draft Document", sembra opportuno considerarlo
tenendo presente le due facce dell'attuale crisi finanziaria, ossia
l'emergenza che si è originata nei mercati sviluppati da un lato e
la situazione di cronica inadeguatezza di risorse destinate a
sostenere lo sviluppo dall'altro: entrambe sollevano una ineludibile
questione morale.
In un momento di crisi, come quello attuale, è appropriato porre
domande che, quando tutto sembra andare bene, sarebbero trascurate o
irrise. Come mai si è arrivati a questa disastrosa situazione, dopo
un decennio in cui si sono moltiplicati i discorsi sull'etica degli
affari e della finanza e in cui si è diffusa l'adozione di codici
etici? Come mai non è stato dato sufficiente peso al verificarsi di
episodi che avrebbero dovuto far riflettere?
La risposta a queste domande non può non mettere in evidenza come la
dimensione etica dell'economia e della finanza non è un qualcosa di
accessorio, ma di essenziale e deve essere costantemente tenuta in
considerazione e incidere realmente se si intende perseguire
dinamiche economiche e finanziarie corrette, lungimiranti e feconde
di progresso.
In questa prospettiva, la dottrina sociale della Chiesa, con la
ricca varietà dei suoi principi morali, può e deve dare un
contributo di realismo e di speranza sia alle questioni oggi sul
tappeto, quali la crisi finanziaria, sia alle questioni che, pur
essendo di importanza vitale per la gran parte del mondo, non
ricevono l'attenzione che meritano. Si tratta della necessità di un
nuovo patto per rifondare il sistema finanziario internazionale;
della questione dei centri finanziari "offshore" e del nesso fra
finanziamento dello sviluppo e fiscalità; del mercato finanziario e
delle regole; del ruolo della società civile nel finanziamento dello
sviluppo.
Un nuovo "patto" finanziario internazionale
3.a L'attuale crisi finanziaria è essenzialmente una crisi di
fiducia. Ormai si riconoscono fra le cause della crisi sia
l'eccessivo uso della "leva" finanziaria da parte degli operatori,
sia l'inadeguata considerazione degli elementi di rischio che essa
comporta. Soprattutto, si riconosce lo scollamento fra la necessità
che la finanza svolga la sua funzione "reale" di ponte fra il
presente e il futuro, e l'orizzonte temporale di riferimento degli
operatori, sostanzialmente appiattito sul presente. In altre parole,
la crisi finanziaria globale ha reso urgente la riflessione e
l'azione sul sesto punto del "Draft Document", ossia sulle questioni
sistemiche.
Siamo di fronte alla necessità di una semplice revisione, o di una
vera e propria rifondazione del sistema delle istituzioni economiche
e finanziarie internazionali? Molti soggetti, pubblici e privati
nazionali e internazionali, richiedono una sorta di nuova Bretton
Woods. Al di là dell'espressione utilizzata, la crisi ha
indubbiamente riportato in primo piano l'urgenza di individuare
nuove forme di coordinamento internazionale in materia monetaria,
finanziaria e commerciale.
Oggi appare chiaro che la sovranità nazionale è insufficiente;
persino i grandi Paesi sono consapevoli del fatto che non è
possibile raggiungere gli obiettivi nazionali contando unicamente
sulle politiche interne: accordi, regole e istituzioni
internazionali sono assolutamente necessari. Occorre evitare che si
inneschi la catena del protezionismo reciproco; piuttosto si devono
rafforzare le pratiche di cooperazione in materia di trasparenza e
di vigilanza sul sistema finanziario. È persino possibile
raggiungere soluzioni di "sovranità condivisa", come dimostra la
storia dell'integrazione europea, a partire dai problemi concreti,
dentro una visione di pace e di prosperità, radicata in valori
condivisi.
Anche nel ridisegnare le politiche e le istituzioni internazionali
si apre dunque una questione morale di grande rilevanza. In
particolare, è importante che il pur necessario confronto politico
fra i Paesi "più ricchi" non porti a soluzioni basate su accordi
esclusivi, ma rilanci uno spazio di cooperazione aperto e
tendenzialmente inclusivo. Tale spazio inclusivo di cooperazione è
particolarmente rilevante in materia di finanza per lo sviluppo.
I flussi finanziari che connettono i Paesi sviluppati coi Paesi a
basso reddito presentano almeno due elementi paradossali. Il primo è
rappresentato dal fatto che nel sistema globale sono i Paesi
"poveri" a finanziare i Paesi "ricchi", che ricevono risorse
provenienti sia dalle fughe di capitale privato, sia dalle decisioni
governative di accantonare riserve ufficiali sotto forma di attività
finanziarie "sicure" collocate nei mercati finanziariamente evoluti
o nei mercati "offshore". Il secondo paradosso è che le rimesse
degli emigrati - cioè della componente meno "liberalizzata" dei
processi di globalizzazione - comportano un afflusso di risorse che,
a livello macro, superano largamente i flussi di aiuto pubblico allo
sviluppo. È come dire che i poveri del "Sud" finanziano i ricchi del
"Nord" e gli stessi poveri del "Sud" devono emigrare e lavorare al
"Nord" per sostenere le loro famiglie al "Sud".
I centri finanziari "offshore"
3.b Per realizzare questo nuovo patto finanziario internazionale, un
primo passo necessario è quello di considerare attentamente il
ruolo, nascosto ma cruciale, del sistema finanziario "offshore"
nelle due facce dell'attuale problematica finanziaria globale sopra
descritta: l'emergenza della crisi globale e l'inadeguatezza della
finanza per lo sviluppo.
I mercati "offshore" sono stati un anello importante sia nella
trasmissione dell'attuale crisi finanziaria, sia nell'aver sostenuto
una trama di pratiche economiche e finanziarie dissennate: fughe di
capitali di proporzioni gigantesche, flussi "legali" motivati da
obiettivi di evasione fiscale e incanalati anche attraverso la
sovra/sottofatturazione dei flussi commerciali internazionali,
riciclaggio dei proventi di attività illegali. Le stime
dell'ammontare della ricchezza detenuta nei centri "offshore" sono
di difficile valutazione, ma abbastanza impressionanti se si
confermassero le informazioni in circolazione: si dice che una vasta
schiera di gruppi e individui deterrebbero applicazioni finanziarie
nei centri "offshore" che potrebbero rendere circa 860 miliardi di
dollari all'anno e che corrisponderebbero a un mancato introito
fiscale di circa 255 miliardi di dollari: più di tre volte l'intero
ammontare dell'aiuto pubblico allo sviluppo da parte dei Paesi
dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Poiché il finanziamento pubblico allo sviluppo non può che venire
dal prelievo fiscale, questo diventa quanto meno critico in epoca di
globalizzazione. Infatti, i processi di globalizzazione hanno
spostato la composizione della tassazione non solo da diretta a
indiretta (con la probabile conseguenza di una minore
"progressività" delle imposte, cioè di una minore capacità di pesare
percentualmente di più su coloro che dispongono di redditi più
elevati), ma soprattutto hanno comportato uno spostamento dalla
tassazione del capitale alla tassazione del lavoro.
Si erode il prelievo fiscale sulle attività imprenditoriali più
grandi e più mobili in campo internazionale o che possono facilmente
ricorrere ai centri "offshore". Si tassano invece maggiormente i
fattori produttivi meno "mobili" e che difficilmente possono
sfuggire all'onere fiscale, e cioè i lavoratori e le piccole
imprese.
Questi punti sono politicamente molto complessi. Affrontarli
significa andare a incidere direttamente sulla sfera della sovranità
fiscale nazionale. Il "Draft Document" ne parla e, al punto 10,
propone di rafforzare la cooperazione internazionale in materia
fiscale, soprattutto in vista di un drastico ridimensionamento delle
pratiche finanziarie "offshore".
Regolamentazione del mercato finanziario
3.c La crisi attuale è maturata in un contesto decisionale in cui
l'orizzonte temporale degli operatori finanziari era estremamente
breve e in cui la fiducia - ingrediente essenziale del "credito" -
era più riposta nei meccanismi del mercato che nelle relazioni fra
partner. Non a caso, la fiducia è venuta meno proprio nel comparto
che era ritenuto "sicuro" per antonomasia, ossia le transazioni
interbancarie; ma senza questa fiducia si blocca tutto, inclusa la
possibilità di normale funzionamento delle imprese produttive. Le
crisi finanziarie e le loro conseguenze hanno, infatti, come
componente l'aspettativa che il clima finanziario peggiori. Tutto
ciò induce gli operatori a comportarsi in un modo che rende più
probabile il peggioramento effettivo della situazione con un
prevedibile effetto cumulativo. Con la crisi, è venuta
improvvisamente meno la fiducia fideistica riposta nel mercato,
inteso come meccanismo capace di autoregolarsi e di generare
sviluppo per tutti.
La situazione attuale è di emergenza, perché si è rimandato di
affrontare alcune questioni importanti: la tracciabilità dei
movimenti finanziari, la rendicontazione adeguata delle operazioni
sui nuovi strumenti finanziari, l'accurata valutazione del rischio.
Talune autorità, specie dei Paesi finanziariamente più evoluti,
hanno rimandato scelte puntuali, mossi dai vantaggi economici che
derivano dall'ospitare una forte industria finanziaria, vantaggi che
durano quanto dura la fase di euforia finanziaria.
Le stesse istituzioni finanziarie internazionali non sono dotate del
mandato e degli strumenti necessari per affrontare con tempestività
tali questioni. In genere si è ritenuto che bastasse il "mercato" a
dare il giusto prezzo al rischio.
I mercati finanziari non possono operare senza fiducia; e senza
trasparenza e senza regole non ci può essere fiducia. Il buon
funzionamento del mercato richiede dunque un importante ruolo dello
Stato e, dove appropriato, della comunità internazionale nel fissare
e nel far rispettare regole di trasparenza e di prudenza. Si deve
ricordare, però, che nessun intervento di regolazione può
"garantire" la sua efficacia a prescindere dalla coscienza morale
ben formata e dalla responsabilità quotidiana degli operatori del
mercato, specie degli imprenditori e dei grandi operatori
finanziari.
Le regole di oggi, essendo disegnate sull'esperienza di ieri, non
necessariamente preservano dai rischi di domani. Così, se anche
esistono buone strutture e buone regole che aiutano, occorre
ricordare che da sole non bastano, l'uomo non può mai essere
cambiato o redento semplicemente dall'esterno.
Occorre raggiungere l'essere morale più profondo delle persone,
occorre una reale educazione all'esercizio della responsabilità nei
confronti del bene di tutti, da parte di tutti i soggetti, a tutti i
livelli: operatori finanziari, famiglie, imprese, istituzioni
finanziarie, autorità pubbliche, società civile.
Questa educazione alla responsabilità può trovare un fondamento
solido in alcuni principi indicati dalla dottrina sociale, che sono
patrimonio di tutti e base di tutta la vita sociale: il bene comune
universale, la destinazione universale dei beni, la priorità del
lavoro sul capitale.
In fondo, la crisi finanziaria è l'esito di una prassi quotidiana
che aveva il suo caposaldo nella assoluta "priorità del capitale"
rispetto al lavoro - incluso il lavoro, alienato, degli stessi
operatori finanziari (ore di lavoro lunghissime e stressanti,
orizzonte temporale di riferimento per le decisioni cortissimo). È
anche l'esito di una prassi distorta per cui si presta più
volentieri a chi è "troppo grande per fallire" e non a chi si assume
il rischio di creare reali occasioni di sviluppo.
Ruolo della società civile nel finanziamento allo sviluppo
3.d La finanza per lo sviluppo richiede di mettere a tema sia
l'aiuto pubblico allo sviluppo, sia il ruolo degli altri attori:
persone, imprese, organizzazioni. In particolare, la società civile
non solo svolge un importante ruolo attivo nella cooperazione allo
sviluppo, ma essa riveste un ruolo significativo anche nel
finanziamento dello sviluppo. Lo fa, innanzitutto, attraverso la
contribuzione volontaria da persona a persona, come nelle rimesse
degli emigranti, o tramite forme organizzative relativamente
semplici (si pensi all'adozione a distanza). Ci sono poi le risorse
per lo sviluppo messe in moto dalle imprese, nell'esercizio attivo
della propria responsabilità sociale; e quelle, talvolta assai
cospicue, che vengono stanziate da parte di importanti Fondazioni.
Anche l'adozione di comportamenti responsabili in materia di consumo
e di investimento costituisce una importante risorsa per lo
sviluppo. Il diffondersi di tali comportamenti responsabili, dal
punto di vista degli effetti materiali, può fare la differenza sul
funzionamento di certi particolari mercati; ma la loro importanza
risiede soprattutto nel fatto che essi esprimono una concreta
partecipazione da parte delle persone - in quanto consumatori, in
quanto investitori del risparmio familiare oppure in quanto decisori
delle strategie aziendali - alla possibilità che i più poveri escano
dalla loro condizione di povertà.
Crisi finanziaria e aiuti pubblici allo sviluppo
4. La preoccupazione per l'emergenza finanziaria che si è originata
nei mercati maturi può effettivamente offuscare la necessità di
mettere a fuoco la finanza per lo sviluppo. È ragionevole pensare
che l'aiuto pubblico allo sviluppo, che proviene da stanziamenti di
bilancio che ogni Paese stabilisce di anno in anno, soffrirà a causa
delle ingenti risorse pubbliche necessarie a tamponare l'emergenza
della crisi finanziaria. E questo è un male, indiscutibilmente. Un
finanziamento dello sviluppo adeguato richiede un orizzonte di lungo
periodo: è necessario che le risorse affluiscano in modo
prevedibile, a condizioni favorevoli, per finanziare opere che
talvolta richiedono molto tempo prima di recare beneficio alla
popolazione locale.
Tuttavia, l'emergenza finanziaria legata al breve periodo e la
"normalità" del finanziamento di lungo periodo sono strettamente
connesse, in negativo ma anche in positivo: esiste, e va tenacemente
ricercata, la possibilità di contribuire a una uscita sostenibile
dalla crisi finanziaria, anche costruendo le condizioni perché i
risparmi che si generano siano indirizzati davvero allo sviluppo,
cioè alla creazione di occasioni di lavoro. Basta pensare a quanti
bisogni insoddisfatti esistono, specie nei Paesi a basso reddito:
quei bisogni sono l'altra faccia delle occasioni di lavoro che è
possibile, quindi doveroso, creare.
Per dare altri elementi che possono sostenere la ragionevolezza di
questa via "reale" di uscita dalla crisi "finanziaria", possiamo
ricordare che le tre "crisi" del 2008 - la crisi alimentare, la
crisi energetica e la crisi finanziaria - sono strettamente legate
fra loro. L'aspettativa di prezzi crescenti dei prodotti agricoli ed
energetici (aspettativa per certi versi fisiologica: si pensi alla
maggiore domanda di cibo e di carburanti in Paesi come Cina e India)
ha prodotto una corsa all'approvvigionamento e all'acquisto di "futures",
cioè di promesse di consegna futura a un prezzo predeterminato.
Questo comportamento, a sua volta, ha alimentato un rialzo dei
prezzi che ha attratto non solo i futuri utilizzatori di prodotti
primari, ma anche operatori finanziari che, in un'ottica puramente
speculativa, hanno scommesso sulla possibilità di un ulteriore
rialzo dei prezzi.
Ora, questi comportamenti rischiosi tendono a fiorire in modo
abnorme quando nei mercati finanziari esiste molta - troppa -
disponibilità di credito. Non è un caso che la crisi finanziaria
attuale, che si manifesta innanzitutto come estrema difficoltà a
ottenere credito, abbia portato con sé un calo dei prezzi dei
prodotti primari e soprattutto del petrolio. Si capisce che, se è
necessario far fronte ai problemi "uno per volta", è pericoloso
farlo senza guardare lucidamente al quadro complessivo e alle
connessioni fra i problemi stessi. La crisi finanziaria
probabilmente "toglierà" risorse all'aiuto pubblico allo sviluppo;
eppure, solo destinando risorse - pubbliche, ma anche private - allo
sviluppo "vero" si potrà ricostruire un sistema finanziario sano,
capace di rendere davvero, perché le risorse hanno realmente
sostenuto il lavoro e l'economia.
Gli attuali investimenti diretti nei Paesi poveri
5. In generale, la gran parte degli investimenti esteri diretti
continua a riguardare i Paesi avanzati, sia come provenienza sia
come destinazione, anche se negli ultimi anni si sono osservati due
fenomeni decisamente nuovi. Il primo è l'affermarsi di investimenti
esteri diretti in uscita dai Paesi "emergenti", spesso motivati
dall'obiettivo di rafforzare la presenza dell'impresa investitrice
nella sua stessa macroregione - quindi, sono investimenti Sud-Sud,
destinati a Paesi a medio o basso reddito. Il secondo riguarda la
crescita significativa dei flussi di investimento transcontinentali
destinati a taluni Paesi a basso reddito, normalmente dotati di
importanti risorse minerarie o energetiche; alcuni di questi sono
effettuati dai cosiddetti "fondi sovrani", e quindi presentano la
duplice valenza di investimento economico e di importante legame
geo-politico.
Il come agire per incrementare gli investimenti esteri diretti è
l'oggetto del secondo capitolo del "Draft Document", che molto
opportunamente sottolinea che occorre considerare attentamente anche
gli aspetti qualitativi dell'investimento. Occorre infatti cautela
prima di interpretare gli afflussi di capitale versi i Paesi come un
segnale inequivocabilmente positivo, e quindi puntare a
incrementarne semplicemente la quantità. In molti casi, si tratta
effettivamente di importanti occasioni di crescita economica e di
sviluppo sociale; in altri, non è così. Ci sono, infatti,
investimenti che comportano il coinvolgimento e la formazione dei
lavoratori locali, il trasferimento di tecnologia, la diffusione di
pratiche manageriali responsabili; ma ci sono anche investimenti che
si limitano a valorizzare le risorse minerarie a beneficio di pochi
- dell'élite politica o economica locale - oltre che, naturalmente,
dell'investitore straniero.
Cooperazione finanziaria per lo sviluppo
6. A seguito della Conferenza di Monterrey, sono stati compiuti
alcuni significativi passi avanti, perseguendo talune delle
direzioni indicate dal "Monterrey Consensus". Nella "Action against
Hunger and Poverty", inizialmente promossa da alcuni Paesi
sviluppati e Paesi in via di sviluppo e successivamente fatta
propria da numerosi altri Stati, sono state identificate diverse
possibili fonti innovative di finanziamento: una tassa di
solidarietà da applicare sulle tariffe aeree; la riduzione di quell'evasione
fiscale resa possibile dall'esistenza di paradisi fiscali; la
mobilitazione delle rimesse degli emigranti per lo sviluppo locale
dei Paesi di destinazione con iniziative, per esempio, di
microcredito; la tassazione delle transazioni in valuta e/o del
commercio di armi; la creazione di strumenti innovativi di prestito
quali la "International Financial Facility"; l'emissione da parte
del Fondo monetario internazionale (Fmi) di diritti speciali di
prelievo; la contribuzione volontaria associata all'utilizzo di
carte di credito; l'investimento finanziario in "fondi etici"; la
raccolta tramite lotterie di solidarietà.
Alcune di queste proposte sono state parzialmente attuate. È il caso
del progetto pilota per il prelievo di solidarietà sulle tariffe
aeree, già in esecuzione in alcuni Stati e destinato a un fondo per
l'acquisto di farmaci contro malaria, tubercolosi e Hiv/Aids,
gestito direttamente dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
Sempre nel 2006, la proposta di creare una International Financial
Facility si è tradotta nella attivazione della Iffi (Iff for
immunization) cui ha aderito un certo numero di Paesi.
Sostanzialmente, si è trattato dell'emissione di titoli pubblici
internazionali che sono stati collocati sui mercati finanziari e
hanno permesso di raccogliere risorse private per il finanziamento
di programmi di vaccinazione. I Paesi che hanno emesso i titoli si
fanno carico degli oneri per gli interessi e per la futura
restituzione dei fondi ricevuti, impegnandosi reciprocamente a
fornire risorse per lo sviluppo; questo impegno è effettivamente
credibile, in quanto il suo eventuale venir meno esporrebbe i Paesi
a una perdita di reputazione nei mercati finanziari internazionali
da cui dipendono per il finanziamento dei loro disavanzi di
bilancio. Tutte queste iniziative hanno in comune il fatto di
svincolare il reperimento delle risorse finanziarie per lo sviluppo
mediante tassazione dalle decisioni di bilancio pubblico dei singoli
Paesi.
7. Nonostante i progressi, però, la cooperazione finanziaria per lo
sviluppo rimane ancora un enorme problema. Inoltre, molti altri
ambiti di azione inclusi nel "Monterrey Consensus" non hanno visto
progressi di sorta; questo vale soprattutto a proposito delle
questioni sistemiche e in particolare della coerenza delle politiche
economiche internazionali. Si pensi, per esempio, al nesso fra le
politiche di aiuto allo sviluppo e le politiche commerciali dei
Paesi avanzati: le diverse forme di protezionismo palese o nascosto,
così come le persistenti limitazioni all'accesso delle esportazioni
dei Paesi poveri nei mercati dei Paesi ricchi, sono un ostacolo
enorme allo sviluppo. Le politiche nazionali restano fortemente
incoerenti: con una mano si dà, con l'altra si toglie.
Un'ultima, importante cautela: bisogna stare attenti a non
confondere i mezzi (le risorse finanziarie) e il fine, ossia lo
sviluppo. Non basta predisporre un ammontare adeguato di
finanziamenti per pensare di ottenere, in modo meccanico, lo
sviluppo. Esso non è tanto il "risultato" che si troverà alla fine,
ma la strada che giorno per giorno viene tracciata dalle scelte
concrete di molteplici attori: Governi donatori e riceventi,
organizzazioni non governative, comunità locali. Per quanto riguarda
l'aiuto pubblico allo sviluppo - l'oggetto principale della
Conferenza di Doha, che coinvolgerà in primis gli Stati - si deve
ricordare che la comunità internazionale ha recentemente affrontato,
nella Conferenza di Accra, la questione della efficacia dell'aiuto (aid
effectiveness).
Oggi, la tendenza preponderante è quella di considerare il canale
"da Stato a Stato", il cosiddetto budget support, come la via più
efficace per far arrivare risorse ai Paesi a basso reddito. Questa
tendenza va guardata con una qualche preoccupazione, perché porta
con sé il rischio di una "burocratizzazione" delle politiche
nazionali di lotta alla povertà e di un ridimensionamento delle
risorse disponibili per le varie forme di iniziativa sociale locale,
sia da parte delle organizzazioni della società civile, sia da parte
di realtà locali radicate nel territorio quali le faith based
organizations.
Eppure, queste realtà sono le vere protagoniste dello sviluppo
inteso come percorso da tracciare giorno per giorno.
Africa e finanziamento dello
sviluppo
8. Un'attenzione particolare al Continente africano, in cui la mappa
dello sviluppo registra forti disparità, è doverosa. In Africa la
situazione è diversa da Paese a Paese; anzi, si nota una tendenza
alla polarizzazione fra le situazioni di successo nel reperire
risorse e metterle a frutto, e situazioni di totale marginalità. Per
esempio, solo pochi Paesi africani attraggono investimenti esteri
diretti non esclusivamente interessati allo sfruttamento delle
risorse minerarie o energetiche. Molto dipende dalla situazione
interna a ciascun Paese; nei termini del "Monterrey Consensus":
dalla capacità di mobilitare risorse interne e di lottare contro
fughe di capitali, evasione fiscale, corruzione. Inoltre, è evidente
che in situazioni di conflitto armato - numerose, purtroppo, in
Africa - la dimensione economica dello sviluppo diventa
semplicemente non proponibile.
Quanto al condono del debito estero, i progressi ci sono stati;
tuttavia, le risorse per la cancellazione del debito raramente sono
state addizionali rispetto ai flussi di aiuto e questo ha comportato
degli effetti di ricomposizione dei bilanci pubblici senza un reale
incremento delle risorse disponibili per le azioni di lotta alla
povertà.
Due punti vanno opportunamente sottolineati. Uno riguarda le scelte
di politica internazionale dei Governi africani: va sostenuta la
crescente volontà di cooperazione internazionale Sud-Sud, in un
continente dove acquisire una certa consuetudine alla cooperazione
internazionale potrebbe contribuire a incanalare preventivamente i
conflitti in uno spazio negoziale non cruento. La seconda riguarda
le scelte di politica interna, in materia di lotta alla povertà e
sviluppo: occorre essere convinti sostenitori della soluzione
sussidiaria, che valorizzi e rafforzi le forme di risposta ai
bisogni che nascono "dal di dentro" della società africana, la quale
possiede un grande patrimonio di cultura solidale che sa esprimersi
con una straordinaria forza di testimonianza.
L'esperienza di cooperazione internazionale allo sviluppo è ormai
sufficientemente ampia da permettere di concludere che politiche e
risorse "calate dall'alto" possono produrre effetti benefici
immediati, ma da sole non forniscono risposte adeguate a come
uscire, in modo sostenibile, dalla povertà. I principi di
sussidiarietà e di solidarietà, tanto cari alla dottrina sociale
della Chiesa, possono ispirare un autentico sviluppo nel segno di un
umanesimo integrale e solidale.
Vaticano, 18 novembre 2008.
AF 11/01/2009
INTERVENTI
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