Nuove regole e vecchi vizi

Nelle ultime settimane alcune notizie hanno movimentato il dibattito sulle nuove regolamentazioni del sistema bancario. Da un lato abbiamo assistito ad un tiro incrociato contro le nuove regole su patrimonio e liquidità sancite nell’accordo di Basilea3, dall’altro lato si assiste ad uno scontro tutto europeo sulla vigilanza bancaria.

Per quel che attiene le nuove regole di Basilea, vi era stato ampio consenso sulla loro entrata in vigore, tra l’altro graduale, a partire da gennaio 2013. E invece, proprio alla vigilia della sua inaugurazione, dagli Stati Uniti è arrivato il primo squillo di tromba. La Federal Reserve, la Federal Deposit Insurance Corporation e l’Office of the Controller of the Currency, le tre autorità di vigilanza, hanno dichiarato che l’entrata in vigore delle nuove norme sul capitale verrà fatta slittare, senza peraltro indicare una nuova data precisa. La spiegazione è che le banche statunitensi non sono in grado di conformarsi per tempo alle nuove richieste regolamentari. In realtà, poiché negli Stati Uniti non avevano accolto né le regole di Basile 2, né quelle di Basilea 2.5, una mossa di questo genere era forse ampiamente preventivabile. Certo, però, che la motivazione sembra un po’ sui generis. Poiché i soggetti che dovrebbero conformarsi alla nuova regolamentazione non sono in grado di rispettarla allora si preferisce ritardare l’entrata in vigore delle regole, invece di stimolare le banche ad accelerare il processo di convergenza verso i nuovi ratios patrimoniali. Un atteggiamento opposto a quello dell’EBA che, invece, l’8 dicembre 2011 impose ad un ampio numero di grandi banche europee un preciso incremento di capitale per coprire i rischi derivanti soprattutto dalla svalutazione dei titoli pubblici in portafoglio, indicando anche il termine perentorio di giugno 2012 per rispettare le richieste dell’autorità. E in questo caso non solo la data non è stata spostata nel tempo, ma anche il periodo concesso per adeguarsi era decisamente breve, circa sei mesi.

La scelta delle autorità statunitensi, cui si è arrivati su pressione delle banche americane, ha aperto il dibattito nel resto del mondo, specialmente in Europa. Qui gli organi rappresentativi degli istituti di credito hanno immediatamente preso la palla al balzo per chiedere un rinvio dell’entrata in vigore di Basilea3. Non si vuole, questa è la motivazione, costringere le banche europee a rispettare parametri più restrittivi rispetto a quelli che le banche americane dovranno osservare. Si creerebbe un piano di gioco internazionale non livellato. Indubbiamente tale motivazione ha un solido fondamento: le banche americane necessiterebbero, a parità di condizioni, di meno capitale potendo così rivaleggiare da una posizione di supremazia rispetto alle banche europee. La Bundesbank ha tuonato contro le banche americane avvertendo che le filiali europee delle banche statunitensi potrebbero perdere il privilegio di essere sottoposte alla vigilanza americana per evitare che questa differenza nel recepimento delle regole possa creare una concorrenza sleale tra le due sponde dell’Oceano. Fatto sta che le pressioni esercitate dalla Federazione Bancaria Europea sembrano aver portato a qualche risultato visto che il 27 novembre 2012 il commissario europeo al Mercato interno e ai servizi Michel Barnier ha affermato che Basilea3 partirà nel 2013, ma che non è detto che il suo avvio sia a gennaio. Ciò apre la strada ad un possibile rinvio anche in Europa. Questa ipotesi è confermata dal successivo intervento di Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, che ha annunciato uno slittamento fino a fine 2013 inizio 2014.

L’altro fronte caldo riguarda il futuro cambiamento della vigilanza europea. In questo caso l’iter è travagliato per motivazioni teoriche, ma anche per le usuali barriere ideologiche nazionali. Infatti, se da un lato è condivisibile la posizione di chi chiede una netta separazione all’interno della BCE tra esercizio della politica monetaria e della vigilanza bancaria, visto che la teoria prescrive che le due attività siano separate per evitare che l’attuazione della politica monetaria venga influenzata dai risultati dell’attività di vigilanza, dall’altro lato si manifestano i soliti scontri nazionalistici incentrati su quante e quali banche debbano essere vigilate dalla BCE. La Germania vuole conservare a livello nazionale la vigilanza sui piccoli istituti, visto che in Germania ci sono tante piccole banche, mentre le autorità francesi non vogliono che la BCE vigili solo le medie e grandi banche, visto che in Francia ci sono poche piccole banche. Quindi, da un lato si vuole preservare un pezzetto di sovranità nazionale, dall’altro lato non si vuole distorcere la vigilanza. Altro aspetto dirimente è capire quali strutture di livello europeo potranno vigilare sulle migliaia di banche operanti in Europa. Non essendoci una funzione europea di vigilanza già formata all’interno della BCE ed essendo impossibile crearla in poche settimane, si dovrà per forza fare affidamento sulle Banche Centrali Nazionali. Ma in questo caso sorge il dubbio su chi sia l’ultimo responsabile dei controlli, la BCE o la BCN che ha effettuato l’analisi. A ciò si aggiunga che proprio a gennaio 2011 era stata avviata l’attività dell’EBA, il cui compito era proprio quello di armonizzare le regole sulla vigilanza in Europa. La conseguenza più logica sarebbe stata quella di trasformare l’EBA nell’autorità di vigilanza bancaria sovranazionale europea. E invece ci si trova con la vigilanza dell’Area euro affidata alla BCE, in forme ancora da decidere, e l’EBA che continuerà ad esistere, ma con un ruolo importante su tutto il territorio dell’Unione Europea. Si dovrà quindi anche dirimere un conflitto di interesse tra queste due autorità, che proprio sulle regole hanno mostrato di non essere totalmente allineate, basti ricordare la critica di Mario Draghi all’EBA per aver richiesto alle banche europee di incrementare i ratios patrimoniali in un periodo particolarmente difficile per l’economia, per i mercati finanziari e per gli istituti di credito. Tant’è che la richiesta dell’EBA può rientrare tra le cause del credit crunch che si sta verificando in alcuni paesi dell’Area euro e contro cui la BCE sta cercando di intervenire.

L’accordo raggiunto a metà dicembre sembra aver visto prevalere l’impostazione tedesca. Il compromesso però attribuisce alla BCE la possibilità di sorvegliare le banche in difficoltà, a prescindere dal vincolo dei 30 miliardi di attivo. Anche se alla BCE non viene trasferita integralmente la funzione di vigilanza questo accordo rappresenta comunque un passo in avanti importante verso una maggior integrazione nella vigilanza bancaria europea. Rimane però da chiarire il ruolo di quei Paesi che, fuori dalla zona Euro, cercano di ostacolare l’avanzare delle nuove regole o si chiamano fuori da ogni ulteriore integrazione dei poteri, in primis la Gran Bretagna.

In sintesi, una riforma completa e ampia della regolamentazione del sistema bancario non sembra essere facilmente realizzabile. Le considerazioni svolte in questo riquadro ci chiariscono come la forza delle lobby bancarie e l’inerzia della autorità di vigilanza non siano state particolarmente scalfite dalla Grande Crisi. Ci sono nuove regole, ma anche i vecchi vizi.

AF 18/12/2012

Vietata la riproduzione. Se vuoi citare scrivi: Antonio Forte, "Nuove regole e vecchi vizi", http://antonioforte.xoom.it.

INTERVENTI