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Nuova Macroeconomia Classica

 

Origine: USA

Periodo di nascita: XX secolo

Maggiori esponenti: Robert Lucas (USA), Thomas Sargent (USA), Neil Wallace (USA), Edward Prescott (USA), Finn Kydland (Norvegia), John Muth (USA)

La stagflazione degli anni Settanta del Ventesimo secolo pose in dubbio le teorie keynesiane. Si viveva in un periodo in cui la stagnazione economica era accompagnata dall’inflazione. Due fenomeni che secondo la teoria di Keynes non dovevano coesistere. Infatti, per Keynes, la crescita dei prezzi accelera quando ci si avvicina al pieno impiego, quando il tasso di disoccupazione è in costante calo. In questo caso, la domanda aggregata cresce e ciò ha un effetto espansivo sui prezzi. Ma in quegli anni, a causa degli shock petroliferi, accadde che l’inflazione era accompagnata dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Di conseguenza, gli strumenti di intervento di politica economica di stampo keynesiano non erano in grado di gestire questi fenomeni contemporaneamente. Di questa situazione si avvantaggiarono i Nuovi Macroeconomisti Classici che riuscirono ad imporsi ed a scalzare le idee keynesiane.

I fondamenti di questa scuola sono così riassumibili: gli agenti (individui e aziende) sono razionali; gli agenti formano delle aspettative razionali sul futuro utilizzando tutta l’informazione disponibile; i mercati sono capaci di raggiungere un equilibrio con piena occupazione e se non ci riescono è perché quella disoccupazione è naturale e legata alla struttura intrinseca dell’economia (di conseguenza non è eliminabile in modo definitivo se non attraverso interventi strutturali, non con interventi fiscali o monetari).

Queste idee hanno caratterizzato fino ai giorni nostri sia l’aspetto scientifico dell’economia sia i suoi risvolti in campo politico.

La razionalità degli agenti risiede nel fatto che essi cerchino di massimizzare i loro profitti e minimizzare i costi sostenuti. Questa impostazione è ormai universalmente riconosciuta. Tutti gli attori economici, secondo la visione dominante, nell’atto di compiere un’azione cercano di ottenere il massimo vantaggio possibile. Questa teoria è quella che viene generalmente insegnata nelle università e che accompagna gli studi anche dopo la laurea.

Il secondo caposaldo è quello delle aspettative razionali. Anche questo è un aspetto chiave degli studi economici degli ultimi decenni. Si suppone che gli attori economici facciano scelte ragionate a seguito di analisi approfondite sulla realtà dei fatti. I soggetti analizzano tutte le informazioni in loro possesso per poi decidere di conseguenza. Grazie a queste assunzioni all’interno di questa scuola cominciarono a diffondersi i modelli economici con il cosiddetto agente rappresentativo. Poiché tutti gli individui e le imprese tendono a perseguire gli stessi fini, nei modelli si può utilizzare un unico soggetto (l’agente) che rappresenti (rappresentativo di) tutta la categoria.

Infine, l’idea che i mercati riescano autonomamente a raggiungere un equilibrio, idea che deriva dall’impostazione classica, ha condotto questa scuola verso due conclusioni: che le politiche fiscali e monetarie dovrebbero interferire il meno possibile con il naturale svilupparsi degli equilibri di mercato e che se in equilibrio non si raggiunge la piena occupazione (cioè il pieno impiego delle risorse) ciò è dovuto a qualche limitazione naturale. In questo modo questa scuola aggira il problema della piena occupazione che era sorto con la Scuola Classica. Secondo i Neoclassici la piena (totale) occupazione non è raggiungibile in assoluto, ma solo relativamente al contesto in cui si opera. Quindi, un tasso di disoccupazione del 6% potrebbe essere il tasso naturale, di equilibrio, in una economia e un tasso del 10% potrebbe essere naturale in un’altra economia. Per far scendere il tasso di disoccupazione è necessario intervenire sulla struttura dei mercati. Di questo può occuparsi la politica attraverso interventi, appunto, strutturali, ma le politiche fiscali e monetarie attive (utilizzo della leva fiscale, interventi delle banche centrali) devono essere limitati. Di conseguenza, ebbe di nuovo risalto la tentazione dello stato minimo, uno stato che si occupa del contesto generale e poi lascia operare i mercati.

Queste teorie sono state criticate nel corso degli anni (in Italia, ad esempio, da Paolo Sylos Labini), ma hanno continuato a rappresentare il cuore del pensiero economico. L’impostazione della Nuova Macroeconomia Classica ha subito un forte colpo a causa della Grande Crisi del 2007-2010. Seppur non sia ancora chiaro come evolverà la scienza economica dopo questa crisi, si può affermare che così come la Grande Depressione e la Stagflazione hanno messo in crisi le teorie Classiche e Keynesiane, la Grande Crisi sta mettendo in crisi la Nuova Macroeconomia Classica.

 

Storia del Pensiero Economico